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La Manna delle Madonie
Il Magazine sul Made in Sicily
Pubblicato da Sicilianet.net in Prodotti Tipici Siciliani · 1 Febbraio 2023
I greci e i romani la conoscevano col nome di Miele di rugiada o Secrezione delle stelle. La sua etimologia deriva dall’ebraico Mân Hu, “cos’è?”, essendo stata questa, come narra il XVI libro dell’Esodo, la domanda che gli ebrei affamati si rivolsero nel veder cadere un cibo sconosciuto, miracolosamente mandato loro da Dio nel deserto: la manna. Ma esiste una manna che non cade dal cielo, e non è un miracolo. Piuttosto, stilla dal frassino, che nella mitologia nordica è l’Yggdrasil, l’Albero della vita, che abbraccia l’universo: le sue radici arrivano al cuore della terra, i suoi rami riempiono il cielo, sulla sua chioma si radunano gli dei. Un tempo la manna si raccoglieva in diverse parti d’Italia: in Sicilia, in Calabria, nel Gargano, nel Beneventano, nel Molise, nel Lazio nei boschi della Tolfa, nella Maremma toscana. Era una pratica conosciuta dai contadini, tramandata in famiglia. Fu soprattutto la produzione di mannitolo di sintesi, fin dall’inizio dell’900, a far diminuire la richiesta del mercato, a portare verso l’estinzione quest’antica cultura.



Oggigiorno la coltivazione è limitata a poche zone della Sicilia, precisamente solo al territorio di Pollina e Castelbuono, con una superficie coltivata stimata nel 2002 a circa 3200; ha qui l'ultima generazione di frassinicoltori che mantiene in vita il prezioso patrimonio colturale e culturale legato al mondo dell'antico mestiere dello "Ntaccaluòru". Qui la tradizione ha resistito all’industria, rischiando sì la scomparsa, ma ha superato il periodo più difficile, rinnovando di stagione in stagione l’antica gestualità che caratterizza la produzione della manna. Così, dopo che per anni la tradizione è sopravvissuta solo grazie a un testardo manipolo di anziani, oggi anche qualche sparuto giovane si è riavvicinato a questa cultura.



Durante l’estate, i frassinicoltori incidono la corteccia dei tronchi per lasciar fuoriuscire una sostanza azzurrina e resinosa che, esposta al sole torrido, si rapprende formando stalattiti biancastre di manna.
La raccolta avviene con il mannaruòlu (per incidere), la rasula (per raschiare la manna che rimane nei solchi della corteccia) e una grande foglia di ficodindia (che raccoglie la parte colata a terra). Non tutta la manna raccolta è di elevata qualità: solo quella che scivola a stalattite e non entra in contatto con la corteccia è manna purissima. La manna raschiata dalla corteccia, invece, ha molte impurità.



Oggi gli ’ntaccaluòri, i raccoglitori di manna, sono ancora molti, ma soprattutto anziani. Solo per due di loro la manna è la principale fonte di reddito. Ma la coltivazione del frassino da manna è stata l’attività prevalente delle famiglie madonite fino al secondo dopoguerra.
Negli anni Cinquanta migliaia di quintali erano esportati oppure lavorati dalle fabbriche di mannite italiane. In quegli anni la raccolta pro capite era di circa 300 chili annui contro i 90 attuali. Pochi, ma pagati molto bene: nel 1965 un chilo di manna costava 1500 lire, oggi, invece, il guadagno dei coltivatori è minimo e le previsioni sul futuro di questa coltivazione sono fosche.
Tuttavia la coltivazione del frassino da manna deve essere preservata anche per l’importante valenza ambientale (rappresenta una barriera contro il degrado del territorio delle Madonie) e storica (i frassineti possono di fatto essere considerati una sorta di museo all’aperto).



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