Conosciamo
bene l'organizzazione amministrativa della "provincia" al I
sec. a.C., grazie a Cicerone. Si puo' supporre che non si fosse
modificata in modo sostanzioso alla fine del III sec. Le antiche citta'
erano state suddivise in quattro categorie secondo il loro atteggiamento
nei confronti di Roma, durante la guerra cinque di esse, fra cui Segesta
e Palermo, erano "libere ed esenti da tasse". Tre erano legate
a Roma da un patto d'alleanza (Messina, Tauromenio e Noto). La maggior
parte erano sottoposte al tributo annuo della decima in natura (civitates
decumenae). Le piu' accanite nella resistenza contro Roma videro il loro
territorio confiscato a vantaggio del popolo romano (Ager Publicus) e
vennero chiamate Civitates Censoriae. Tale fu il caso di Siracusa, Erice,
Lilibeo, Selinunte e tante altre. Per amministrare le proprie conquiste,
Roma designo' due pretori supplementari, a partire dal 227, uno
per la Sicilia e l'altro per la Sardegna. Poi, nel 122, il governatore
della Sicilia, divenne un pretore, ossia un pretore urbano assegnato
alla direzione della provincia, alla fine del proprio incarico. Il
pretore risiedeva a Siracusa, nell'ex palazzo di Ierone. Esso aveva il
comando supremo delle truppe della provincia, era giudice capo in
materia criminale e giudicava senza appello. Contro l'arbitrarieta' del
pretore, i siciliani non avevano alcun ricorso possibile finche' egli
rimaneva in carica: dopo che aveva lasciato l'incarico, avevano il
diritto di querelarlo davanti ai tribunali di Roma. Il pretore era assistito da due questori: uno risiedeva a Siracusa, l'altro a Lilibeo. Essi amministravano il tesoro, percepivano le tasse e prelevavano la decima. Tutte le citta' dovevano mantenere un certo numero di navi. I Siciliani erano sottoposti a diverse imposte, tasse sul bestiame, diritti di dazio, diritti portuali, generalmente appaltati e pubblicani le cui esazioni sono rimaste memorabili. La principale imposta comunque era la decima in natura cui erano sottoposte tutte le citta' decumanae, poi anche le citta' censoriae. La decima dei siciliani costitui' la principale risorsa di Roma in grano fino ai tempi d'Augusto. |
VITA
ECONOMICA E SOCIALE. LE GUERRE SERVILI. Si comprende pertanto l'importanza dell'isola nell'economia dell'impero. Sino all'epoca della conquista, i romani si erano impegnati a sviluppare la produzione dei cereali: questa raggiunse un livello straordinario, oltre cinque milioni di ettolitri, si dice per una popolazione valutata fra 1.600.000 ed 1.350.000 abitanti. A questa ricchezza economica non corrispondeva una situazione sociale altrettanto brillante. Una parte importante della produzione veniva drenata verso Roma. I contadini liberi erano spremuti dai pubblicani e dagli usurai. I vasti terreni dell'ager pubblicus erano generalmente appaltati a cavalieri romani e coltivati da schiavi rapiti in Asia e comprati a Delo. Vivendo in condizioni di miseria indescrivibile, generalmente legati, questi si ribellarono piu' volte. La Sicilia conobbe due atroci guerre servili. La prima scoppio' nel 138 e fu diretta da uno schiavo di Enna, un sirano chiamato Euno. Venne domata soltanto sette anni dopo dal console Rupilio. La seconda comincio' nel 104 ed ebbe a capo Trifone ed in seguito Ateneo. Termino' nel 99 ad opera del console Apulio. |
LA
SICILIA FINO ALL'IMPERO SESTO POMPEO. Rupilio aveva fatto votare una legge, probabilmente destinata a proteggere i siciliani contro l'arbitrarieta'. Il processo a Verre (nel 70), tenderebbe a provare che essa non ebbe grande effetto. Si hanno buoni motivi di pensare che le esenzioni del pretore non avevano nulla di eccezionale e che egli ebbe soprattutto la sfortuna di avere per accusatore un Cicerone che desiderava all'epoca imporsi al partito senatoriale. Liberata dagli attacchi dei pirati di Pompeo (67), l'isola divenne piu' tardi il rifugio del figlio di quest'ultimo: dopo la morte di Cesare (44), Sesto Pompeo era riuscito a costruirsi una flotta importante. Padrone della Corsica, della Sardegna, della Sicilia, aveva preso il titolo di "re del mare" e poteva fermare i convogli di grano. Costrinse i triumviri a trattare con lui (Trattato di Riseno, 39). Poi resistette ad Ottavio per due anni (38 - 36). Vinto sul mare da Agrippa a Nauloco e vedendo l'isola invasa da Lepido, fuggi' in Oriente. |
LA
SICILIA SOTTO L'IMPERO. L'isola conobbe da allora i benefici della pace romana. Pacificata, la provincia venne classificata da Augusto fra le province senatoriali: ebbe per governatore un proconsole dai poteri limitati. Due misure favorirono la sua relativa prosperita': le imposte cessarono di venire appaltate e soprattutto la decima del grano venne sostituita da una tassa, dato che l'Africa assicurava ormai il rifornimento di Roma. Il fossato esistente tra la provincia e l'Italia venne progressivamente colmato: Augusto conferi' ai siciliani il "diritto latino"; poi nel 212 d.C., la costituzione di Caracolla conferi' loro il diritto di cittadinanza. L'isola conobbe una nuova guerra servile verso il 265. Nel 278, Siracusa venne saccheggiata da un'onda di franchi che Roma aveva deportati in Tracia e che tornavano in Occidente. Ma l'avvenimento piu' importante di tutto questo periodo della storia siciliana fu certamente la diffusione del Cristianesimo nell'isola. San Paolo, che andava a Roma, fece scalo a Siracusa, le tombe cristiane piu' antiche risalgono al II sec. I cristiani di Sicilia conobbero le persecuzioni e le eresie. E' certo peraltro che i costumi pagani si mantennero a lungo. D'altronde, il culto di certi santi, quello di Santa Lucia, ad esempio, comporta ancora importanti ricordi del paganesimo. |
LA
SICILIA PRIMA DELL'INTERVENTO ROMANO (278 - 264 a.c.): Chiamato in Italia dai Tarantini (281), Pirro aveva guerreggiato contro i romani senza potere ne' vincerli ne' strappare loro un trattato di pace. Nel 278, egli abbandono' Taranto per soccorrere Siracusa. Ottenne dapprima brillanti successi contro i Cartaginesi, togliendo loro i principali possedimenti siciliani ad eccezione di Lilibeo; ma commise l'errore di rifiutare la pace vantaggiosa che gli venne proposta. Cartagine mando' dei rinforzi. Stanche dei suoi insuccessi le citta' che lo avevano riconosciuto "re di Sicilia", lo tradirono. Da allora, egli dovette indietreggiare verso est; riattraverso' furtivamente lo Stretto di Messina e raggiunse Taranto saccheggiando i templi al suo passaggio. In Sicilia, i Cartaginesi, ripresero il loro sconfinamenti. Nei confronti dei Greci, il loro comportamento era completamente cambiato. Divenuti piu' malleabili, si allearono con Agrigento, progredirono a Sud fino all'Imera, a Nord fino a capo di Tindari. Gia' si erano impadroniti delle Isole Eolie, controllavano tutta la punta nord-ovest dell'isola fino a Tanromenio ed interdivano a Siracusa l'accesso allo Stretto. Minacciata da ogni parte, vedendo il proprio territorio progressivamente ridotto, la gloriosa citta' sarebbe stata salvata dalla decadenza dell'ex luogotenente di Pirro, siracusano di origine, Ierone. Egli si fece dare il comando dell'esercito e sposo' un'aristocratica siracusana, Filistide. Dopo aver sconfitto i mamertinzi vicino a Mile, rientro'a Siracusa da trionfatore e si fece proclamare re. Tuttavia,cinque anni dopo il suo insediamento diventava il protetto dei conquistatori romani. A tale titolo, il suo regno (269-215) appartiene al periodo seguente. |